Quasi tutti i maestri religiosi hanno trasmesso un insieme di articoli di fede. Ciò che il Buddha insegnò, invece, è un sistema sperimentale. Se vogliamo imparare a vivere una vita felice, è necessario che ci trasformiamo in maniera radicale, e per un cambiamento così fondamentale, anche la fede più sublime non basta. Occorre sperimentare la legge naturale, il Dhamma, direttamente all'interno di noi stessi: allora ci riuscirà facile vivere in conformità a questa legge.
Dobbiamo renderci conto personalmente della nostra natura effimera e mutevole, e capire che ogni tentativo di manipolarla non solo è futile, ma crea sofferenza. Una volta compreso questo, diventa spontaneo generare in noi quel distacco che ci permette di rimanere sereni in mezzo a tutte le vicissitudini della vita. La chiave di questa percezione diretta è vedana; la sensazione, perchè è attraverso di essa che noi entriamo veramente in contatto con il mondo. Ogni volta che avviene il contatto con uno dei sensi fisici o con la mente, si manifesta una sensazione nel corpo. A questo punto hanno inizio i nostri comportamenti errati; è dunque a questo punto che dobbiamo rettificare le nostre azioni. Invece di lasciare che la sensazione ci conduca alla bramosia, dobbiamo fare in modo che essa susciti in noi la saggezza che libererà la nostra mente dalla sofferenza.
Per poter arrivare a ciò, tuttavia, dobbiamo comprendere chiaramente che cosa sia una sensazione, e dove occorre cercarla.
Il Buddha la classificò tra gli aggregati mentali, insieme alla coscienza (viññana), alla percezione (sañña) e alla reazione (sankara).Nel definirla, però, egli parlò di vedana, la sensazione, non come di un fenomeno soltanto mentale, ma anche fisico. E' la mente che sente, ma ciò che essa sente è inscindibile dall'elemento fisico.
L'aspetto fisico della sensazione riveste una particolare importanza per il meditatore. Se osserviamo soltanto a livello mentale, non ci rendiamo conto della sensazione al momento in cui si manifesta nel corpo; e, nel buio dell'ignoranza, reagiamo ciecamente ad essa, intensificandola ancora di più. Prima che ci rendiamo conto, quella fuggevole sensazione ha assunto le proporzioni di un fuoco divorante, è diventata un'emozione così forte da sconvolgere la mente. Come conseguenza, ci ritroviamo a parlare e ad agire in modi errati, di cui più tardi ci rammaricheremo. Se invece osserviamo la sensazione a livello fisico e ne diventiamo consapevoli non appena essa sorge, possiamo impedire che abbia luogo la reazione.
La nostra schiavitù nasce dal fatto che, per ignoranza, reagiamo alla sensazione fisica e le permettiamo di trasformarsi in un fenomeno mentale che sopraffa la ragione. Ma se impariamo ad osservare le sensazioni fisiche, possiamo affrancarci dalla servitù della reazione, ed essere liberi dalla sofferenza. Osservando le sensazioni fisiche, il meditatore entra in contatto con il livello più profondo della mente, quello inconscio, e può così impedire che li si formino le reazioni. Non solo: questa osservazione rappresenta anche il mezzo per liberare ed eliminare i contenuti dell'inconscio, e per estirpare i vecchi condizionamenti mentali che vi si sono accumulati.
Vedana samosarana sabbe dhamma.
Tutte le cose che sorgono nella mente sono accompagnate da sensazioni.
Assumendo l'atteggiamento di un osservatore imparziale, il meditatore fa sì che emozioni e complessi profondamente repressi emergano a livello conscio, manifestandosi come sensazioni fisiche; ponendosi come testimone di queste sensazioni, senza reagire ad esse, egli permette ai vecchi complessi di dissolversi. A questo proposito il Buddha si esprime così:
Il meditatore, esercitandosi ad osservare la transitorietà delle sensazioni fisiche piacevoli, il modo in cui esse perdono forza, si attenuano e poi cessano, e anche la maniera in cui egli si distacca, si libera in tal modo dal condizionamento interno che lo porta a desiderare le sensazioni piacevoli.
Così pure, quando il meditatore continua a osservare le sue sensazioni fisiche sgradevoli, e ne coglie il carattere impermanente egli si libera dal condizionamento che gli suscita ripugnanza verso ogni sensazione sgradevole.
Osservando poi con costanza le sensazioni neutre che si manifestano nel suo corpo e rendendosi conto che, così come sorgono, esse si dissolvono, il meditatore elimina il condizionamento che gli faceva ignorare queste sensazioni neutre e la loro caratteristica di sorgere e passare.
Pertanto, osservando le sensazioni del suo corpo, il meditatore libera la sua mente dal desiderio incontrollato, dall'avversione, dall'ignoranza, e cioè da tutto ciò che la rende impura.
Osservare le sensazioni fisiche è il modo più diretto di sperimentare l'impermanenza di noi stessi. Anicca, il termine pali per indicare l'impermanenza, non va compresa soltanto in riferimento a ciò che sta fuori di noi, e cioè alle altre persone e al mondo che ci circonda.
Dobbiamo renderci conto che anche noi siamo fenomeni transitori, che ci dissolviamo ogni attimo. Quando si fa l'esperienza diretta di questo fatto, ecco che attaccamento ed egoismo diventano impossibili, e noi impariamo a vivere distaccati dal nostro io. Il Buddha descrive ancora così questo processo:
Nel cielo soffiano venti diversi, vengono da oriente e da occidente, dal nord e dal sud, carichi di polvere o senza polvere, freddi o caldi, uragani impetuosi o brezze gentili - molti sono i venti che soffiano.
Così in questo corpo sorgono sensazioni che sono piacevoli, spiacevoli, neutre. Quando un meditatore pieno di fervore, mantiene salda la sua capacità di comprensione, egli, da vero saggio, giunge a capire tutte le sensazioni. Una volta consapevole delle sensazioni, già da questa vita egli viene liberato da tutte le impurità. E dopo la sua morte, stabilizzatosi in Dhamma, proprio perchè ha penetrato tutte le verità riguardanti le sensazioni, egli raggiunge lo stadio indescrivibile oltre il mondo condizionato (nibbana).
Il Buddha riteneva la consapevolezza della propria realtà corporea così importante, che definiva spesso la tecnica di introspezione da lui insegnata: la consapevolezza diretta al corpo. I nostri stessi corpi sono testimoni della verità. Se ci impegniamo nell'osservazione delle sensazioni fisiche, come insegna la meditazione Vipassana, possiamo avanzare da una verità che conosciamo per sentito dire all'esperienza diretta della verità. E quando incontriamo la verità faccia a faccia, essa ci trasforma: allora nasce in noi la fede autentica, non basata su di una credenza cieca, ma sulla nostra personale esperienza.